Secondo un report delle Nazioni Unite l’industria della moda ha una grossa fetta di responsabilità nell’inquinamento globale e per questo ha stilato una lista di 17 obiettivi da centrare entro il 2030 per salvare il pianeta. Dalla fase di produzione degli abiti a quella dello smaltimento dei rifiuti vestirsi è diventato un problema.
“Come è possibile che un indumento costi meno di un panino? Come può un prodotto che deve essere seminato, cresciuto, raccolto, setacciato, filato, tagliato e cucito, lavorato, stampato, etichettato, impacchettato e trasportato costare un paio di euro? È impossibile”. Così parlò Li Edelkoort, anticipatrice olandese di trend di moda e design, nel suo Anti-fashion: a Manifesto for the next decade presentato durante un convegno organizzato da Business of Fashion nel febbraio del 2017.
Una provocazione, un j’accuse verso l’industria della moda e, in questo frangente particolare, verso la cosiddetta fast fashion, capace di produrre fino a 52 micro stagioni in un anno. Una alla settimana. A un costo bassissimo per il consumatore, ma immensamente più alto per il pianeta.
L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELLA MODA
Recentemente è stato dimostrato scientificamente il potere terapeutico dello shopping, e forse anche per questo è comprensibile l’eccitazione con cui ci si fionda a comprare capi venduti per pochi euro, che vengono usati, quando va bene, qualche settimana per poi essere dimenticati nell’armadio. Una “leggerezza d’acquisto” che oggi come oggi non è più sostenibile. La Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite ha recentemente discusso in una conferenza in Svizzera l’impatto dell’industria della moda sull’ambiente. La fotografia è quella di un martello che batte su un’incudine arrugginita: sono da attribuire a questo settore il 20% dello spreco globale di acqua e il 10% delle emissioni di anidride carbonica nonché la produzione di più gas serra rispetto a tutti gli spostamenti navali e aerei del mondo. Allo stesso tempo le coltivazioni di cotone sono responsabili per il 24% dell’uso di insetticidi e per l’11% dell’uso di pesticidi facendo del settore tessile il più inquinante dopo quello Oil&Gas
Ma c’è di più perché l’impatto ambientale dell’industria della moda non si ferma alla produzione, anzi. Quella maglietta comprata l’estate scorsa che quest’anno non vi passerebbe mai per la testa di indossare e che finirà con buona probabilità nel bidone dell’indifferenziata, è in ottima compagnia: sempre secondo le Nazioni Unite l’85% dei vestiti prodotti finisce in discarica e solo l’1% viene riciclato. Un dato che diventa ancora più significativo se si considera che rispetto al 2000 il consumatore medio acquista il 60% di abiti in più.
Fonte: D.it